CORTE D'ASSISE D'APPELLO DI BRESCIA La Corte d'assise d'appello di Brescia, riunita in Camera di consiglio nelle persone dei magistrati: 1) dott. Enrico Fischetti, Presidente; 2) dott. Massimo Vacchiano, consigliere - rel.; 3) sig. Gabriele Busi, giudice popolare; 4) sig. Claudio Restelli, giudice popolare; 5) sig.ra Silvia Congiu, giudice popolare; 6) sig. Davide Zatti, giudice popolare; 7) sig.ra Francesca La Della Trento, giudice popolare; 8) sig.ra Giulia Franzoni, giudice popolare; vista la richiesta presentata dal difensore di S. S. , depositata in data 10 aprile 2019, diretta ad ottenere che la Corte, previa detrazione del periodo di presofferta detenzione dal 27 gennaio 2011 al 30 marzo 2011, sospendesse l'ordine di carcerazione n. 158/19 emesso nei confronti del predetto, nonche', in subordine, sollevasse la questione di legittimita' costituzionale sia dell'art. 3, comma 1, lettera a), decreto-legge n. 11/2009 convertito dalla legge n. 38/2009, sia dell'art. 3-bis, decreto-legge n. 7/2015, convertito dalla legge n. 43/2015, per contrasto con gli articoli 25, 27 e 117 Cost. e 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali; ritenuta la propria competenza; sentite le parti all'odierna udienza: esaminati gli atti; Osserva S. S., in relazione al reato (accertato in data 10 novembre 2007) di cui all'art. 12, comma 3, decreto legislativo n. 286/1998, aggravato ai sensi del comma 3-bis, nella forma di cui alla lettera c-bis) (ovvero dal «fatto commesso da tre o piu' persone in concorso tra loro»), del predetto decreto legislativo n. 286/1998, nel testo anteriore alla riforma introdotta dalla legge n. 84/2009, e' stato condannato con sentenza del G.U.P. del Tribunale di Brescia in data 22 marzo 2017 alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 30.000,00 di multa, poi ridotta con sentenza della Corte d'appello di Brescia in data 6 aprile 2018 ad anni due, mesi otto di reclusione ed euro 30.000,00 di multa, divenuta irrevocabile in data 21 febbraio 2019. Con provvedimento n. SIEP 158/2019 in data 12 marzo 2019, il procuratore generale presso questa Corte d'appello ha ordinato nei confronti di S. S. l'esecuzione della predetta pena detentiva di anni due e mesi otto di reclusione (oltre al recupero di quella pecuniaria di euro 30.000,00). Nella motivazione il procuratore generale ha evidenziato come l'art. 656, comma 9, lettera a), codice di procedura penale precludesse la sospensione dell'esecuzione della pena per i delitti di cui all'art. 4-bis della legge n. 354/1975 (tra i quali era previsto quello in esame). Il difensore di S. S. ha promosso incidente di esecuzione per chiedere sia la detrazione, dal computo della pena da eseguire, del periodo di presofferta detenzione intercorrente dal 27 gennaio 2011 al 30 marzo 2011, sia la sospensione dell'ordine di carcerazione n. 158/19. Con riferimento alla prima richiesta, il difensore ha fatto rilevare che la stessa sentenza di primo grado avesse dato conto del fatto che la custodia cautelare subita dal prevenuto nell'originario procedimento penale n. 12.508/09 RGNR (prima che la posizione di S. S. fosse separata da quella degli altri coindagati e iscritta nel procedimento n. 6718/11 RGNR) fosse da imputare agli stessi fatti per i quali veniva processato. Con riferimento alla seconda richiesta, il difensore ha fatto rilevare che l'art. 4-bis della legge n. 354/1975, contenente l'elencazione dei reati per i quali non e' consentita la sospensione dell'ordine di carcerazione, era stato modificato sia dal decreto-legge n. 11/2009, convertito dalla legge n. 38/2009 (che aveva aggiunto il delitto di cui all'art. 12, commi 3, 3-bis e 3-ter decreto legislativo n. 286/1998 quale reato-fine rispetto a quello di cui all'art. 416 c.p.), sia dai decreto-legge n. 7/2015, convertito dalla legge n. 43/2015 (che aveva aggiunto il delitto di cui all'art. 12, commi 1 e 3, decreto legislativo n. 286/1998). S. S. era stato, dunque, condannato per violazione degli articoli 12, commi 3 e 3-bis del decreto legislativo n. 286/1992 che all'epoca della sua commissione (2007) costituiva fattispecie autonoma di reato. Poste queste premesse, il difensore ha fatto rilevare come non potesse applicarsi retroattivamente il novellato combinato disposto degli articoli 656, comma 9, codice di procedura penale e 4-bis della legge n. 354/1975 a soggetti, come S. S. , che avessero commesso reati prima dell'entrata in vigore della citata (sfavorevole) modifica normativa, in quanto essa, avendo inciso di fatto non sulla modalita' di esecuzione della pena, ma sulla stessa natura (specie) della sanzione, avrebbe avuto evidenti effetti sostanziali e non gia' meramente processuali. A sostegno di tale tesi, il difensore ha evidenziato: che l'interpretazione organica degli articoli 25 Cost., 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e 2 codice penale induceva a ritenere che il condannato non potesse subire conseguenze penali afflittive (carcerazione diretta, anziche' sospensione della stessa) in virtu' di leggi entrate in vigore successivamente alla commissione del fatto-reato; che la Corte di cassazione con la recente sentenza n. 12.541/2019 aveva aderito a questa interpretazione antiformalistica; che la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo aveva rinvenuto la violazione dell'art. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali in una norma spagnola che aveva inasprito l'applicazione di un beneficio penitenziario, stabilendo che il principio dell'affidamento circa la prevedibilita' della sanzione penale dovesse estendersi anche all'esecuzione della pena. Il difensore ha, dunque, chiesto, che la Corte, in base ad una lettura costituzionalmente orientata, disponesse la sospensione dell'ordine di carcerazione e, in subordine, sollevasse la questione di legittimita' costituzionale sia dell'art. 3, comma 1, lettera a), decreto-legge n. 11/2009 convertito dalla legge n. 38/2009, sia dell'art. 3-bis, decreto-legge n. 7/2015, convertito dalla legge n. 43/2015, per contrasto con gli articoli 25, 27 e 117 Cost. e 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. A tal proposito, il difensore ha fatto pure notare: che la stessa Corte costituzionale, con sentenza n. 257/2006, aveva affermato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 30-quater delta legge n. 354/1975, introdotto dall'art. 7 della legge n. 251/2005, nella parte in cui non prevedeva piu' che il beneficio del «permesso premio» non potesse essere concesso sulla base di una normativa previgente nei confronti di condannati che, prima dell'entrata un vigore di tale modifica normativa, avessero raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto; che la Corte d'appello di Lecce e il G.I.P. del Tribunale di Napoli avevano sollevato questione di legittimita' costituzionale delle recenti norme contenute nel decreto-legge 9 gennaio 2019, n. 3 (c.d. «spazzacorrotti») che prevedevano il divieto di sospensione dell'esecuzione delle pene detentive brevi, senza stabilire un regime transitorio che contemplasse la loro applicabilita' soltanto a condanne per fatti commessi successivamente alla loro entrata in vigore. All'odierna udienza, il procuratore generale ha espresso parere favorevole in relazione alla richiesta di detrazione del periodo di presofferta detenzione dal 27 gennaio 2011 al 30 marzo 2011, nel mentre ha formulato parere contrario in ordine alle altre istanze. Ritiene, preliminarmente, la Corte fondata la doglianza diretta a far rilevare, nell'ordine di carcerazione emesso dal procuratore generale in data 12 marzo 2019, la mancata detrazione del periodo di presofferta detenzione intercorrente dal 27 gennaio 2011 al 30 marzo 2011, dal momento che la custodia cautelare subita S. S. per tale periodo (conseguente all'ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Brescia in data 9 dicembre 2010) riguardava gli stessi fatti per i quali l'imputato, a seguito dello stralcio della sua posizione rispetto a quella degli altri indagati, e' stato poi processato. Quanto, invece, alla lamentata mancata sospensione dell'ordine di carcerazione, si osserva che il difensore ha evidenziato come le modifiche normative apportate all'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario, mediante le quali anche il reato per il quale vi e' stata condanna di S. S. rientrerebbe ormai tra quelli richiamati dall'art. 656, comma 9, codice di procedura penale preclusivi a tale sospensione, fossero intervenute successivamente alla commissione del reato. Da questo rilievo, la difesa, interpretando il principio dell'irretroattivita' delle norme penali come applicabile a tutte le conseguenze penali in grado di incidere sulla natura afflittiva della pena, ha fatto derivare due possibili soluzioni processuali: sospendere l'ordine di carcerazione sulla scorta di una lettura costituzionalmente orientata delle norme coinvolte o sollevare la questione di illegittimita' costituzionale per contrasto con gli articoli 25, 27 e 117 Cost. in relazione all'art. 7 CEDU, nella parte in cui non prevedono, al riguardo, norme transitorie. Cio' premesso, occorre, anzitutto, precisare che la modifica normativa che qui rileva non e' quella di cui al decreto-legge n. 11/2009, convertito dalla legge n. 38/2009, siccome introduttiva tra i reati che precludono la sospensione dell'ordine di carcerazione, il delitto di cui all'art. 12, commi 3, 3-bis e 3-ter del decreto legislativo n. 266/1998 esclusivamente quale reato-fine rispetto al reato di cui all'art. 416 codice penale, ma quella di cui al decreto-legge n, 7/2015, convertito dalla legge n. 43/2015 che ha direttamente aggiunto ai predetti reati ostativi il delitto di cui all'art. 12, commi 1 e 3, decreto legislativo n. 286/1998. Al riguardo, e' appena il caso di far notare come a nulla rilevi il fatto che la violazione dell'art. 12, comma 3, decreto legislativo n. 28611998, commessa da S. S. , costituisse, all'epoca della sua consumazione, reato autonomo, laddove oggi integra circostanza aggravante, atteso che quanto commesso dal condannato e' comunque riconducibile alla condotta descritta dalla fattispecie citata dal novellato comma 1 dell'art. 4-bis della legge n. 354/1975. Tanto chiarito, ritiene questa Corte distrettuale di condividere le perplessita' manifestate dal difensore circa la conformita' dell'art. 3-bis del decreto-legge n. 7/2015, convertito dalla legge n. 43/2015, alle norme contenute negli articoli 25 e 117 Cost. In particolare, alla luce della notevole rilevanza ormai assunta dalle disposizioni concernenti l'esecuzione della pena, si deve ritenere che il principio di legalita', in forza del quale nessuno puo' essere punito con una pena piu' grave di quella applicabile al momento in cui fu commesso il reato («nulla poena sine lege»), sia effettivamente adattabile anche a quelle norme implicanti variazioni in pejus delle modalita' di espiazione della pena, tenuto conto che l'esigenza di prevedibilita' della norma penale sarebbe sostanzialmente frustrata se non avesse ad oggetto tutte le disposizioni che comunque incidono sul grado di afflittivita' della sanzione penale. Vero e' che tale interpretazione e' contrastata dal consolidato indirizzo ermeneutico seguito dalla Corte di cassazione, secondo il quale le disposizioni che individuano i delitti che precludono l'accesso alle misure alternative alla detenzione e quelle che per relationem individuano i delitti ostativi alla sospensione della esecuzione della pena detentiva, in quanto attinenti alle modalita' di esecuzione della pena, non hanno natura penale sostanziale e quindi non soggiacciono al principio di irretroattivita' stabilito dagli articoli 2 codice penale e 25, secondo comma, Cost. (Cass. Sez. Un. 30 maggio 2006, n. 24.561; Cassazione 31 gennaio 2018, n. 18.496). Tuttavia, come gia' rilevato da alcuni giudici di merito (Trib. Napoli Ufficio giudice per le indagini preliminari ordinanza 2 aprile 2019; App. Lecce ordinanza 4 aprile 2019; Tribunale sorveglianza Venezia ordinanza 8 aprile 2019), trattasi di interpretazione che cozza irrimediabilmente con quanto espressamente stabilito dall'art. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (e, conseguentemente, con l'art. 117 Cost. che ad esso rinvia), alla stregua del quale il principio dell'affidamento copre non soltanto la sanzione, ma anche la sua esecuzione. Ed allora, posto che, attualmente, secondo il diritto vivente, sedimentato sulla citata opinione tuttora dominante della Corte di cassazione, non e' possibile applicare il principio di non retroattivita' della legge penale sfavorevole qualora si veda in tema di misure alternative alla detenzione, questo Collegio non ritiene di poter percorrere direttamente l'interpretazione che assume conforme al dettato costituzionale (come vorrebbe, invece, in via principale, la difesa del condannato), preferendo piuttosto sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3-bis del decreto-legge n. 7/2015, convertito dalla legge n. 43/2015 nella parte in cui, inserendo all'art. 4-bis della legge n. 354/1975 richiamato dall'art. 656, comma 9, lettera a) codice di procedura penale il reato di cui all'art. 12, commi 1 e 3, decreto legislativo n. 286/1998, non prevede una norma transitoria al fine di evitare l'applicazione retroattiva del divieto di sospensione dell'esecuzione della pena, per contrasto con gli articoli 25, secondo comma, e 117 Cast. con riferimento per quest'ultima norma all'art. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. A tale conclusione questa Corte distrettuale perviene, in ragione soprattutto dell'interpretazione che la Corte europea dei diritti dell'uomo ha attribuito all'art. 7, paragrafo 1, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che, dopo aver previsto che «nessuno puo' essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui e' stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale», stabilisce che «Parimenti, non puo' essere inflitta una pena piu' grave di quella applicabile al momento in cui il reato e' stato commesso». Questo secondo inciso, ad avviso della Corte europea dei diritti dell'uomo, va interpretato nel senso di non consentire l'introduzione di una regge successiva che incida in modo piu' afflittivo sulle conseguenze penali scaturenti dalla commissione di un fatto-reato, sicche' istituti pur inseriti nella normativa di matrice penitenziaria, laddove incidano in termini di sostanziale modificazione quantitativa o qualitativa della pena, non possono essere considerati quali mere modalita' di esecuzione della pena stessa. A tal riguardo, particolarmente pertinente appare il richiamo operato dalla giurisprudenza di merito (Trib. Sorveglianza Venezia ordinanza 8 aprile 2019) alla pronuncia con la quale il giudice delle leggi ha precisato che «le misure alternative partecipano della natura della pena, proprio per il loro coefficiente di afflittivita'» (Corte cost., n. 349/1993). Ordunque, se si segue l'interpretazione appena illustrata, e' altrettanto evidente che qualsiasi modifica normativa che, retroattivamente alla commissione del fatto-reato, regoli in senso restrittivo l'accesso alle misure alternative alla detenzione finisca per violare il principio ricavato dall'art. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, nei termini in cui e' stato interpretato dalla Corte europea. E cosi', l'art. 3-bis del decreto-legge n. 7/2015, convertito dalla legge n. 43/2015, estendendo la casistica dei reati richiamati dall'art. 656, comma 9, codice di procedura penale (ovvero quelli che non consentono la sospensione dell'esecuzione della pena) al delitto di cui all'art. 12, commi 1 e 3, decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 precedentemente commesso (in data 10 novembre 2007) da S. S., ha di fatto ristretto le condizioni di accesso alle misure alternative alla detenzione da parte del predetto condannato. Mette conto, a questo proposito, precisare, non foss'altro per sottolineare l'evidente rilevanza, in questo specifico procedimento, della questione di illegittimita' costituzionale che qui si propone, che il prevenuto, dovendo scontare una pena detentiva inferiore a tre anni, avrebbe potuto beneficiare della sospensione dell'esecuzione della pena a mente dell'art. 656, comma 5, codice di procedura penale, se non fosse sopravvenuta, dopo la commissione del fatto-reato, la norma denunciata. Occorre, infine, rimarcare come proprio in materia di estensione dell'elenco dei reati per i quali, a norma dell'art. 656, comma, 9, codice di procedura penale, vi e' divieto di sospensione dell'esecuzione e divieto di accedere alle misure alternative, anche la suprema Corte abbia recentemente aderito all'interpretazione della Corte europea per i diritti dell'uomo, privilegiando una definizione «antiformalista» e «sostanzialista» dei concetti di illecito penale e di pena, cosi da valorizzare, quanto a quest'ultima, il tipo, la durata, gli effetti e le modalita' di esecuzione (Cass. 4 marzo 2019, n. 12.541). La Corte di legittimita', pur non potendo sollevare la questione di illegittimita' costituzionale siccome afferente alla competenza del giudice dell'esecuzione, ha espressamente precisato che «non parrebbe manifestamente infondata la prospettazione difensiva secondo le quale l'avere il legislatore cambiato in itinere le «carte in tavola» senza prevedere alcuna norma transitoria presenti tratti di dubbia conformita' con l'art. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e, quindi con l'art. 117, la' ove si traduce... nel passaggio - «a sorpresa» e dunque non prevedibile - da una sanzione patteggiata «senza assaggio di pena» ad una sanzione con necessaria incarcerazione, giusta il gia' rilevato operare del combinato disposto degli articoli 656, comma, 9 lettera a), cod. proc. pen. e 4-bis ordinanza penit.». A fondamento del dubbio di costituzionalita', la suprema Corte ha condivisibilmente valorizzato il «principio dell'affidamento» del consociato in ordine alla «prevedibilita'» della legge, cui rimanda l'art. 7 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, avvertendo come ai fini del rispetto di tale principio occorra aver riguardo non soltanto alla sanzione, ma anche la sua esecuzione. Va, inoltre, condiviso il rilievo che la Corte di legittimita' ha formulato in ordine alla mancanza di disposizioni transitorie, che peraltro, in altri casi, erano state introdotte per temperare il principio di immediata applicazione delle modifiche all'art. 4-bis ordinanza penit. Norme transitorie che, evidentemente, allorquando sono state introdotte, hanno all'evidenza illustrato carne lo stesso legislatore fosse stato ben consapevole, che, diversamente, avrebbe esposto la normativa al rischio di illegittimita' costituzionale.